Nelle iniziative legate alla Giornata della memoria dedicata quest’anno ai disabili ( fisici e psichici) vittime della persecuzione nazista l’Anpi di Magenta ha organizzato un incontro sull’ evoluzione della psichiatria dopo la legge Basaglia.
Durante l’incontro i relatori ( primari e operatori delle Unità’ Psichiatriche Territoriali di Magenta e Novara ) hanno sottolineato attentamente come l’essenza della riforma psichiatrica fosse nel rifiuto e nell’abbattimento del modello manicomiale , sia a livello istituzionale che di pensiero , modello fondato su logiche di esclusione del diverso, di chi viene considerato fuori dalla norma .
Questa riforma al di là del merito di aver permesso la chiusura concreta dei manicomi ( ma non ancora di tutti , è del 31 marzo la scadenza per la chiusura degli Istituti Psichiatrici Giudiziari) ha rappresentato lo sforzo collettivo, di tante persone vicino a Basaglia, collaboratori, amici , amministratori comunali , di trasferire nella prassi ciò che veniva elaborato nella teoria di quegli anni ( pensiamo a Foucault , Goffman, etc.) e si è parlato non a caso di una “ cultura della follia” per definire l’avvicinarsi della follia alla cultura nel tentativo di quest’ultima di fare proprio il discorso della follia per dare dignità e ascolto alle voci del diverso, dell’altro , spesso vittima del pregiudizio e dell’indifferenza.
Quanto sia preziosa l’eredità di quel lavoro in-comune lo si può proprio a partire dai suoi nodi irrisolti, in fondo la convinzione che cancellare il contenitore della follia, che produceva ancora più patologia, potesse rimuovere le cause che la generavano si è dimostrata sbagliata. Lo stesso tentativo di idealizzare il territorio quando in realtà la società continua a produrre disagio mentale e ad escludere chi se ne fa portatore ci ha condotto ad una realtà comunitaria in cui le prospettive di speranza in comunità più tolleranti e accoglienti rimangono vive ma dove abbiamo modo di constatare quotidianamente un clima di indifferenza e di stigma verso il dolore mentale e il prevalere di un modello competitivo, quantitativo e aziendale della socialità umana.
In effetti mancano oggi luoghi di mediazione tra il territorio e i luoghi di cura quando le persone vengono dimesse e sono carenti gli spazi di ascolto e di relazione che possano dare voce a chi rimane ai margini di una società sempre più eccitata e accelerata a fronte di tagli sempre più forti nel settore della sanità pubblica con l’effetto di rendere più esiguo il numero degli operatori e ridurre il tempo dedicato all’ascolto con il ricorso frequente alle terapie farmacologiche .