La comunità di Basaglia 33 anni dopo

Nelle  iniziative legate alla Giornata della memoria dedicata  quest’anno ai disabili ( fisici e psichici) vittime della persecuzione nazista l’Anpi di Magenta   ha organizzato un incontro sull’ evoluzione della  psichiatria dopo la legge Basaglia.

Durante l’incontro i relatori ( primari  e operatori delle Unità’ Psichiatriche Territoriali di Magenta e Novara ) hanno sottolineato attentamente  come l’essenza della riforma psichiatrica fosse nel rifiuto e nell’abbattimento del modello manicomiale ,  sia a livello istituzionale  che di pensiero , modello fondato su logiche di esclusione del diverso, di chi  viene considerato fuori dalla norma .

Questa riforma al di là del merito di aver permesso la chiusura concreta dei manicomi ( ma non ancora di tutti , è del 31 marzo la scadenza per  la chiusura degli Istituti Psichiatrici Giudiziari) ha rappresentato lo sforzo collettivo, di tante persone vicino a Basaglia, collaboratori, amici , amministratori comunali , di trasferire nella prassi ciò che veniva elaborato nella teoria di quegli anni ( pensiamo a Foucault , Goffman, etc.)  e si è parlato non a caso di una “ cultura della follia” per definire l’avvicinarsi della  follia alla cultura nel  tentativo di quest’ultima di fare proprio il discorso della follia per  dare dignità e ascolto alle voci del diverso, dell’altro , spesso vittima  del pregiudizio e dell’indifferenza.

Quanto sia preziosa l’eredità di quel lavoro in-comune lo si può proprio a partire dai suoi nodi irrisolti, in fondo   la convinzione che cancellare il contenitore della follia, che produceva ancora più patologia, potesse rimuovere le cause che la generavano si è dimostrata sbagliata. Lo stesso tentativo di idealizzare il territorio quando in realtà la società continua a produrre  disagio mentale e ad escludere chi se ne fa portatore ci ha condotto ad una realtà comunitaria  in cui le prospettive di speranza in comunità più tolleranti e accoglienti rimangono vive  ma dove   abbiamo modo di constatare quotidianamente un  clima di indifferenza e di stigma verso il dolore mentale  e il prevalere di un modello competitivo, quantitativo e aziendale della socialità umana.

In effetti mancano oggi luoghi di mediazione tra il  territorio e i luoghi di cura quando le persone vengono dimesse e  sono carenti  gli spazi di ascolto e di relazione   che possano dare voce a chi rimane ai margini di una società sempre più eccitata e accelerata a fronte di tagli sempre più forti nel settore della sanità pubblica  con l’effetto di rendere più esiguo il  numero degli operatori e ridurre il tempo dedicato all’ascolto con il  ricorso frequente  alle terapie farmacologiche .