Dopo la scuola restavo ore stesa sul pavimento,/col telefono posato tra la spalla e l’orecchio ,/un piatto di riso freddo alla mia sinistra,/i libri di scuola alla mia destra.
Attorcigliando il filo tra le dita/parlavo con le amiche che riconoscevano/la lingua del nostro reame. Gole e polmoni gonfi,/si tirava fino al cuore della notte a parlare,
a trastullarci con idee di capelli tinti e suicidi,/a parlare di ragazzi che non ci amavano,/ che noi amavamo troppo, delle pene della notte./Ogni frase un nuovo territorio,una porta
dove qualcuno a corsa si infilava,il vetro in frantumi,/nel delirio,in conoscenza,nella paura./Mia madre non si lamentava mai della bolletta del telefono,/di quanto costava la sparizione di sua figlia
dietro una porta-guardava il filo/stirarsi i muscoli e allontanarsi da lei,/Forse pensava che era il solo modo/di raggiungermi, mandandomi via
a parlare nell’oltretomba. Fintanto che parlavo,/poteva porre il mio orecchio/alla terra tenue,permettermi di ascoltare,/decifrare. Erano questi gli elementi
di mia madre-i fili interrati,/il cavo rovente- come se lei affluisse/nella stanza con me in qualche modo a dire:/resta dove posso raggiungerti,la stanza ombrosa/
la terra oscura. Parla,si,/e quando ti senti lontana/tiro io il filo e ti riporto/ a me.
“Il filo” di Leanne O’Sullivan , poetessa irlandese (trad. di Alesssandro Gentili ) tutti i diritti riservati“Poesia” Novembre 2013, Crocetti editore
Ci sembrava una splendida poesia adatta a celebrare con uno stile colloquiale e discorsivo quel legame profondo, ma anche sottile e protettivo, che si stabilisce tra madre e figlia .