Il desiderio ai tempi di Facebook

I social network come pratica liberatoria o spazio di illusione narcisistica? In anni recenti ragazzi, uomini e donne  hanno sofferto, lottato nella stanza di terapia dentro questo conflitto. Spazio che consente di allargare la sfera delle relazioni sociali, di canalizzare le passioni private verso una  tensione pubblica oppure dispositivo per governare le pulsioni e regolare il desiderio dentro binari standardizzati, fornendo tra l’altro alle aziende private tutti i dati per plasmare merci sempre più a misura dell’utente/consumatore?

Forse una ulteriore finestra contemporanea di “cura del sé” attraverso la confessione pubblica e la costruzione di una narrazione biografica sempre aggiornata e rivedibile ?

Quello che osserviamo è come  face book o comunità virtuali vengono usati di frequente dai ragazzi più giovani  in maniera ambivalente e contraddittoria, sia  come schermo difensivo per coprire le proprie insicurezze e rafforzarle, sia come protesi della propria identità in attesa di ridurre lo scarto l’immagine  ideale e quella reale in una sorta di “lavoro  in corso”pubblico  spregiudicato e disinvolto nel tentativo di superare le inibizioni e le timidezze che si potrebbero provare dell’incontro con l’altro.

Alcuni ragazzi vivono questo spazio come una sorta di “palestra virtuale” dove esercitarsi ad entrare in contatto, in rapporto con gli altri, seppure a distanza “protetta”.

Si incontrano giovani uomini e donne che entrano in crisi affettiva e sentimentale   quando si accorgono che le proprie fantasie possono realizzarsi, allora i social  network diventano  uno spazio per liberare le fantasie, rompere certi equilibri “arrugginiti”, per sentirsi meno vincolati, ingabbiati in relazioni in cui non ci riconosce più : si diventa liberi di fare le proprie esperienze e di muoversi nei rapporti in maniera più autonoma ed indipendente.

Ma a volte il web 2.0 assume anche la forma di un labirinto pluriesposto e multi espanso dove ci si può perdere, smarrire nel proprio  “doppio virtuale” che finisce per non coincidere  e non  integrarsi  più con l’altra identità, quella  corporea,  fino al  vivere  un empasse paralizzante nella propria vita relazionale ed affettiva, altre volte l’uso dei social network diventa una vera propria forma di dipendenza psicologica da cui è difficile staccarsi.

Come spiegare quindi quello che rimane fuori, viene escluso dallo sguardo e non si riesce a mettere a fuoco?

Forse Face book, Twitter, My space sono pratiche sottoposte a più pressioni, spazi attraversati da più tensioni , in direzioni contrapposte , da una parte rivelano  tentativi di riappropriarsidella propria vita, del proprio discorso emotivo dentro un universo sempre più tecnologico  e una società liquida dove il sé si fa evanescente, un “di più” di corporeità “nel corpo stesso del virtuale”, d’altra parte ci mostrano  una espropriazione delle identità individuali e personali verso una maggiore mercificazione e consumo.

Uno strumento  di conflitto dove ci si può perdere  nel piacere  della moltiplicazione dei riflessi e degli sguardi, ma anche la costruzione più o meno  illusoria di un filo di relazioni e di  legami in un mondo percepito sempre più come slegato e dissociato.

In questo senso Facebook è un sintomo collettivo del disagio contemporaneo, un’ennesima tappa del processo di trasformazione e di metamorfosi degli individui, della loro immagine, del loro modo di viversi e percepirsi ..