E’ possibile condividere la gioia ?

 Se mi lascio andare alla felicità e tutto finisce ? Gli altri non capiscono e il sogno svanisce ?

Un luogo comune sostiene che la terapia sia uno spazio solo per la sofferenza e il dolore, come se le emozioni positive fossero sbagliate. Così ad un  certo punto del percorso le persone si domandano se parlare e comunicare del loro stare bene sia uno spreco di tempo.

In realtà la stanza della terapia è un luogo dove possono  prendere forma diverse emozioni :  tutto lo spettro delle emozioni che abitano l’esistenza e la vita quotidiana, sia le emozioni piacevoli che quelle spiacevoli hanno diritto di emergere e manifestarsi.

A volte può essere il raggiungimento di una scadenza o di una tappa, la fine della scuola, un esame , il diciottesimo compleanno, una gravidanza , una  promozione,un lavoro ben svolto, oppure un’esperienza che ha cambiato il modo di vedere le cose, una guarigione,un appuntamento  sentimentale andato a buon fine, una scoperta inattesa, un viaggio .…. in ogni caso è fondamentale darsi la possibilità  e il permesso di essere felici e condividere questa emozione con  l’altro .

In alcuni casi ci si può trovare a festeggiare insieme, a partecipare ad un sentimento di gioia, a farsi attraversare reciprocamente da una corrente di benessere emotivo.

La difficoltà , la ritrosia o l’atteggiamento prudente con cui ci si rapporta con le emozioni di felicità , di gioia rivelano qualcosa di significativo rispetto alla cultura in cui viviamo.

Nonostante l’appello ai sentimenti di bontà e la pressione consumistica ad essere sempre sorridenti, si è spesso timidi a riconoscere ed esprimere il proprio essere contenti, quasi come non ce lo si meritasse.

Si è  vergognosi a condividere la gioia come se si rischiasse nel farlo di perdere qualcosa.

Dietro questa riluttanza alla condivisione sembra  agire il pensiero dominante che i successi e progressi nella vita dipendano solo da se stessi.

La diffidenza verso la felicità  si trova spesso collegata  a questi vissuti:

  •  L’idea che questi sentimenti non possano essere compresi e condivisi dall’altro.
  • La preoccupazione di essere giudicati, di colpevolizzarci e di generare invidia o gelosia nell’altro .
  • La convinzione che la felicità possa essere raggiunta solo individualmente . 
  • La sfiducia nelle proprie risorse emotive e nella propria capacità di provare sentimenti. 
  • Il timore che questi sentimenti possano essere così intensi  da non riuscire a gestire e di farsi travolgere da essi. 
  • La difficoltà di lasciarsi andare  (e il sospetto che tali sentimenti non siano autentici e che non ci appartengano, ma siano effetto della  fortuna e del caso  ). 
  • La paura che la beatitudine possa rivelarsi provvisoria e fuggevole e attiri “ i fulmini della distruzione “ così ad un momento di gioia segua rapidamente una caduta nell’infelicità e nella tristezza.

La cultura più profonda in cui siamo immersi ci suggerisce che la felicità sia sempre fuori dal tempo vissuto, nel futuro  in un immaginario al di là, nell’utopia di un mondo possibile   oppure nel passato di una sognante “ età dell’oro” precedente, costringendoci ad essere perennemente insoddisfatti ed così ci sfugge la possibilità  di saperla vivere oltre modelli di felicità e ideali di perfezione, sapendo  godere e apprezzare il momento presente , l’attimo in cui siamo.

Come recita l’Ecclesiaste per ogni cosa c’è il suo tempo “ ogni faccenda sotto il cielo “: c’è un momento per il pianto  e  c’è e ci sarà un momento per la gioia, “ c’è un momento per gemere e c’è un momento per ballare”.

Il momento in cui siamo felici lo possiamo celebrare , l’attimo onorarlo e rendendo partecipi gli altri della nostra esultanza, come ci insegna la tradizione Buddhista, apriamo il cuore al mondo .