Scenari apocalittici, salti cronologici, slittamenti spazio-temporali, buchi neri, vuoti narrativi : gli elementi che costituiscono la trama dei film degli ultimi anni ci racconta un individuo decentrato, frammentato oppure paranoico ed eternamente in guerra .
Spesso il cinema come l’arte, la letteratura ( soprattutto quella di genere ) anticipa gli scenari futuri attraverso la rappresentazione di mondi possibili , di storie di vita. Mai come in anni recenti gli spettatori hanno assistito a visioni di una realtà ipertecnologizzata dove le coscienze si allargano e si estendono, mentre le percezioni diventano instabili e precarie. I protagonisti di queste narrazioni non sentono più il loro senso di realtà o identità veramente minacciato, come si verificava nel cinema di alcuni decenni fa, perché l’immaginario si è fatto invasivo e pervasivo e interfersice nei meccanismi in cui si forma il senso di appartenenza di sé mescolando i confini tra dentro e fuori , tra immagine e realtà, tra verità e finzione.
Emblema di questo continua riorganizzazione delle coordinate che mediano la percezione del tempo e dello spazio è la diffusione e il successo dei telefilm, che possono dilatare la trama per sovrapporla alla percezione del tempo reale, procedendo per anni nel seguire le vicissitudini di personaggi che crescono,invecchiano, muoiono e vengono sostituiti da altri personaggi . Uno di questi esempi è costituito dal Dottor Who , un serial che dura da circa 30 anni che racconta le avventure di un Signore del tempo che si sposta in continuazione da una fase storica all’altra attraverso una macchina, spostamenti e coesistenze di dimensioni temporali diverse lo spingono progressivamente a eventi in cui perde la ragione e la sua stabilità mentale va in crisi.
Nel corso degli ultimi 15 anni nella stanza di terapia sono sempre più frequenti le persone che si lamentano della fatica di adattarsi a tempi accelerati e frenetici e che sperimentano forme di distacco dalla realtà, come se vivessero una disarmoniasempre più forte tra mondo immaginario e percezione di sé .
Le realtà virtuali e digitali hanno intercettato il bisogno degli esseri umani di superare i limiti e i confini in particolare quelli corporei .
Così il cinema contemporaneo nelle sue diverse derivazioni immerge lo spettatore dentro esperienze sensoriali più fusionali ( vedere il 3 d ) ed emotive dove si punta a stimolare brividi, suspense e trepidazione ( la rinascita del genere horror e di quello catastrofista).
La fuga nel virtuale rappresenta una delle possibili risposte ad un futuro incerto ,mentre un’altra soluzione che personaggi di fiction e individui reali mettono in atto è quella di rifiutare l’elaborazione del lutto , la perdita o la gestione dell’incertezza rifugiandosi in comunità chiuse, tribù separate dal resto del mondo o sviluppando forme paranoiche di pensiero dove gli altri assumono forme minacciose e persecutorie e i sentimenti di odio cancellano ogni possibilità di convivenza umana (i due film proto tipici sono stati, molti anni fa, da una parte Existenz e dall’altra Fight Club).
Se il cinema operasse una diagnosi e una prognosi del futuro prossimo, da un punto di vista psichico, cosa ci sta segnalando?
Forse il rischio di una svalorizzazione dei filtri percettivi, sensoriali e mentali che mediano gli scambi tra il mondo interiore e quello esteriore , quelli che ci aituano a porre dei limiti,a differenziare tra realtà e fantasia ?
Si finirà per sovrainvestire sempre di più la nostra sfera mentale amplificando i viaggi di fantasia a discapito del mondo reale e della nostra consapevolezza o capacità di influire sul reale ?
O forse il pericolo di un adeguamento massiccio a tempi di fruizione dei media sempre più accelerati ed espansi , dove non si ha più il tempo per metabolizzare e digerire il contenuto di quello che si assorbe ?
Probabilmente si tratta di una perdita graduale della capacità di distinguere i supporti che veicolano i media e l’esperienza che ne facciamo ( cioè non accorgersi della differenza tra un contenuto- un film ad esempio- assorbito tramite un supporto mediale e un altro – ad esempio la differenza tra un film vissuto davanti alla tv da soli e uno visto al cinema oppure in una multisala… ).
Interessanti esempi sono stati recentemente film come “Lei” di Spike Jonze e il serial tv Homeland.
Forse ci possiamo spostare da questi ultimi modelli per esplorare altre dimensioni , magari più semplicemente intimiste , come film diversamente interessanti dell’ultimo anno ci invitano a fare , e farci accompagnare a notare con maggiore curiosità i dettagli presenti nella quotidianità e le emozioni nascoste tra le pieghe dell’esistenza recuperando le capacità di provare emozioni consapevoli di vivere in un mondo fragile eppure senza paura del futuro: in “Grand Budapest Hotel” dove il personaggio principale, un portiere d’albergo cerca semplicemente di essere, come ricorda l’amico fattorino , “ un essere umano “, cosa non facile in tempo di guerra , o in “ Storytelling” che narra la storia di una famiglia con tutte le sue debolezze, conflitti, segreti restituendoci la consapevolezza di un universo temporale che scorre incurante dei fallimenti, dei sogni e dei destini individuali.